IBIS EREMITA ORIENTALE, ESTINZIONE IMMINENTE
La scoperta della colonia
relitta di Ibis eremita (Geronticus
eremita) nel deserto siriano nel
2002 fu un momento di entusiasmo per la comunità internazionale di
conservazionisti e di appassionati di birdwatching. Gli ultimi sette
discendenti viventi dell'ibis dei geroglifici egiziani, la divinità
"psicopompa" Akh -
responsabile cioè dell'accompagnamento delle anime dei defunti nell'Aldilà.
Gli ultimi sopravvissuti
della popolazione orientale migratrice di Ibis eremita - separata da secoli da quelli
rimasti in Marocco, appartenenti alla popolazione occidentale e residente - un
centinaio di individui in tutto. La specie, comprendente le due separate
popolazioni, era classificata come "gravemente minacciata" nella Lista
Rossa della IUCN già dal 1994. In realtà, la popolazione orientale era stata
dichiarata estinta già nel 1989, con l'estinzione dell'ultima colonia
conosciuta, ubicata sull'Eufrate nell'Anatolia meridionale - mentre in Siria
l'uccello era addirittura ritenuto estinto già da 70 anni prima.
Poi la scoperta
inaspettata, in Siria appunto. Eppure a ben pensarci c'era ben poco da essere
ottimisti circa la possibilità di salvare la popolazione orientale a partire da
quegli ultimi 7 individui - specialmente considerando il contesto socio-economico
e politico della regione. Senza contare poi che i fondi internazionali dedicati
alla conservazione delle singole specie animali sono risicati e risibili e che le
"cause prime" della Sesta Estinzione di Massa di animali e piante sul
pianeta Terra - la quinta è stata quella che ha spazzato via i dinosauri circa
65 milioni di anni fa - sono davvero difficilmente affrontabili e risolvibili.
Le cause prime di questo
vero e proprio biocidio-stillicidio sono infatti tutte riconducibili all'uomo, alla
sua organizzazione socio-economica, ed alla sua psiche (individuale e
collettiva):
- l'ambizione
all'arricchimento e consumo illimitati, una ideologia - con nessun aggancio
concreto alla realtà dei fatti del pianeta - nata nei paesi occidentali e esportata
poi in quelli in via di sviluppo
- la crescita esponenziale
e incontrollata della popolazione umana nei paesi poveri ed in via di sviluppo
(con associato anelito di poter un giorno arricchirsi e consumare come nei
paesi occidentali)
- un encefalo, quello
umano, essenzialmente programmato per decidere e pensare sul breve periodo (identico
in questo a tutti gli altri animali)
- una spiccata tendenza a
negare la realtà delle cose, al fine di controllare ansia e angoscia.
Nonostante tutto ci si è
provato, con un certo entusiasmo; ci si è buttati nella mischia, specialmente
chi vi scrive, nel tentativo, abbastanza folle, di salvare l'Ibis eremita nel
Medio Oriente. Anche perché sembrava una eccellente specie "flagship"
(simbolo, emblema), un buon "ombrello" cioè per perorare la causa di
tutto l'ecosistema della steppa siriana. I problemi da risolvere però erano
enormi soprattutto perché, come se non fossero bastati quelli tipici della
steppa siriana (caccia incontrollata, desertificazione galoppante e sviluppo
incontrollato di infrastrutture), si doveva al contempo cercare di affrontare
anche tutte quelle minacce a cui gli sparuti pennuti andavano ad esporsi
durante la lunga migrazione e lo svernamento fuori dalla Siria (6 mesi l'anno),
in territori a quei tempi sconosciuti - per svelare questo mistero ornitologico occorreva catturare
ed equipaggiare con marcatori satellitari alcuni degli uccelli.
Rimboccateci le maniche,
durante i primi anni, si è riusciti a lavorare sul campo con alta efficienza e
senza grandi preoccupazioni, sotto il cappello della Nazioni Unite (FAO) e con i
fondi della cooperazione italiana, riuscendo così a istituire un programma di
protezione intensivo e ad addestrare vari esponenti della comunità locale (governativi,
cacciatori e beduini nomadi) a proteggere la colonia di ibis, con risultati
incoraggianti (14 giovani involati in 3 anni). I primi rangers e eco-guide del
paese sono nati da questa fase del progetto, insieme alla possibilità concreta
di sviluppare e promuovere l'ecoturismo a beneficio delle comunità locali.
Ma ecco che nel 2004 questo
progetto finisce inaspettatamente e ci si ritrova a dover fare un appello
internazionale a tutta la galassia delle organizzazioni no profit di
conservazione della natura. Da quel momento la "missione", il
progetto, finisce deviato sotto l'ombrello di un piccolo e nuovo ufficio
regionale di una autorevole no profit internazionale di conservazione. Ufficio
abbastanza improvvisato e confuso, tranne che nella intenzione di sfruttare al
meglio l'opportunità di esposizione mediatica che occuparsi di Ibis eremiti
offriva.
Da allora il progetto è
stato segnato da una cronica mancanza di fondi, fiaccato da continui
personalismi e territorialismi, nefaste improvvisazioni a livello istituzionale
con conseguenti lentezze burocratiche estenuanti (per ottenere autorizzazioni necessarie
a fare qualsiasi cosa sul campo), e una totale mancanza di consapevolezza della
importanza e necessità di avvalersi della preziosa e disponibile esperienza tecnico-scientifica,
maturata durante i primi 3 anni di progetto.
Così, tra mille
difficoltà, in condizioni di lavoro rigorosamente in stile missionario e
volontario, si è comunque riusciti a realizzare alcuni piccoli grandi miracoli,
soprattutto grazie all'appoggio della First Lady siriana, Mrs Asmaa Assad: si è
scoperta la rotta migratoria e i territori di svernamento in Etiopia nel 2006,
sono stati effettuati vari importanti sopralluoghi nei territori di svernamento
sull'acrocoro etiope, le minacce più gravi fuori dalla Siria sono state
identificate (una su tutte la caccia in Arabia saudita, drammaticamente identificata
nel 2009), il metodo di "supplementazione" della colonia selvatica,
con individui dello stesso pool genico nati in cattività in Turchia, testato
con successo.
Purtroppo tutto questo è
avvenuto troppo lentamente rispetto alla diminuzione del numero di uccelli
della colonia. Il problema principale appare quello di aver trascurato i
consigli degli esperti circa la necessità di protezione intensiva della
riproduzione della colonia a Palmira, che fosse basata su assistenza tecnico-scientifica
internazionale. Questo fatto, da solo, ha prodotto come conseguenza i fallimenti
riproduttivi nel 2005 e nel 2008, fatali per la già vacillante dinamica
demografica della colonia relitta.
Si arriva quindi alla penosa
situazione attuale: adesso che tutte le informazioni necessarie per agire,
soprattutto fuori dalla Siria, sarebbero disponibili, insieme ai mezzi per
attuarle, e adesso che paradossalmente anche i fondi sarebbero disponibili,
ebbene, la colonia adesso conta solo tre individui... e siamo quindi arrivati
veramente al capolinea per questa leggendaria popolazione orientale di Ibis
eremiti.
Durante questi ultimi 5
anni, personalmente, mi sono sentito come a bordo di una ambulanza che cercava
di raggiungere disperatamente, a sirene spiegate, l'ospedale più vicino, con un
grave ferito a bordo: ambulanza che però si ritrovava a percorrere una strada ricoperta
di mastice o invasa da una "marmellata" di traffico.
Aldilà di quello che si
dirà, e già si sta dicendo, la verità è che questa estinzione si poteva evitare,
o almeno tentare di evitare con maggiore impegno e organizzazione: attivandosi
con maggiore tempismo, con una mobilitazione di emergenza di fondi, avvalendosi
senza esitazioni di esperienza e qualifiche - ed anche, essenziale, facendo
leva sulle passioni individuali, disponibili ma frustrate continuamente. Certo
che - ho imparato sulla mia pelle - i mezzi a disposizione di chi può e
vorrebbe impegnarsi per salvare natura e animali, a livello internazionale,
sono oggigiorno veramente limitati.
Infatti, questo "case
study" di conservazione sembra suggerire che la battaglia per contrastare le
minacce che gravano sulla biodiversità del pianeta, viene spesso combattuta con
mezzi di fortuna e con armi spuntate - nel caso specifico poi, con pochissima
convinzione da parte delle organizzazioni no profit internazionali preposte.
La verità è che esiste un flebile
interesse dell'opinione pubblica e dei governi per questa tragica estinzione di
massa di animali e piante che caratterizza il tempo attuale e caratterizzerà
ancora di più gli anni a venire.
Pochi si rendono conto
infatti che è il nostro stesso stile di vita consumista direttamente
responsabile e implicato in questa estinzione di massa di fauna selvatica - forse
c'è più interesse per gli animali domestici e da compagnia, con i quali si ha
certo maggiore familiarità. La famosa Convenzione sulla Biodiversità di Rio de
Janeiro, varata nei primi anni novanta, e tutte le altre iniziative simili e
collegate che sono seguite, sono valse a poco ed i risultati ottenuti sono
francamente del tutto insufficienti e deludenti.
Come possiamo sperare che
gli uomini si appassionino all'attuale bio-cidio di specie non umane - che
percorre come un brivido tutto il globo, senza eccezioni - quando vediamo che non
riescono neanche ad affrontare seriamente le gravi minacce che incombono sul
genere umano stesso (vedi per esempio il fallimento nell'affrontare seriamente
il cambiamento climatico)? In effetti, un cervello programmato per decidere e
pensare sul breve periodo e la tipica inclinazione umana a non
"vedere" e negare ciò che non piace non aiutano molto in questo.
E poi, come possiamo
sperare di salvare le centinaia di specie animali e piante al momento
minacciate di estinzione (scrupolosamente registrate nella Lista Rossa della IUCN; la maggior parte
sconosciute ai più), quando si sta fallendo perfino a salvare uno degli animali
più belli - forse, davvero, oggettivamente il più bello e affascinante che
condivida il pianeta con noi: la Tigre (sia quella del bengala che quella
siberiana)? Stesso dicasi per tante altre specie animali carismatiche (vedi il panda,
il rinoceronte, il ghepardo, il leone, le balene, il gorilla etc.).
La Sesta Estinzione di
Massa di animali e piante sembra quindi irrevocabilmente e ineluttabilmente
destinata a procedere a velocità sempre maggiore, in parallelo alla crescita
della popolazione umana mondiale e alla espansione del mercato globale. Volare
su un qualsiasi aereo di linea oggigiorno ci dà la possibilità di vedere come
la superficie della Terra sia "butterata" e segnata dalle attività
umane ormai quasi in ogni suo intimo recesso: insomma, è davvero poco lo spazio
vitale rimasto a disposizione degli animali e piante selvatiche. Letteralmente,
non sembra che ci sia più posto per altre creature sul pianeta - oltre
all'uomo. Dovremo davvero cominciare a convincerci che ci ritroveremo un giorno
non tanto lontano in un mondo senza natura e animali selvatici? Un mondo in cui
la natura sarà equiparata a parchi e giardini, caratterizzati da una
biodiversità bassissima, e frequentati da pochi animali commensali e
infestanti, felicemente combinati e asserviti all'uomo.
La situazione del nostro
pianeta e dell'umanità al giorno d'oggi richiama l'immagine di un vascello alla
deriva in mare aperto, abitato da una miriade di tarli, tutti esclusivamente
intenti a divorarne il legno per saziare la fame del momento e accumulare
ossessivamente risorse per un futuro lontano e improbabile..., mentre l'acqua
comincia ad infiltrarsi attraverso il fasciame dello scafo indebolito e
tarlato.
Molti finiscono per
domandarsi perché dovremmo occuparci di un'altra specie animale che scompare -
seppur irreversibilmente. E.O. Wilson, entomologo e conservazionista di
Harvard, nel suo recente libro "La Creazione" risponde così
(immaginandosi di proporre una alleanza con chi crede in Dio): "Ciascuna
specie è un piccolo universo a sé, diversa da tutte le altre per il suo codice
genetico, l’anatomia, il comportamento, il ciclo vitale, il ruolo
nell’ambiente, un sistema che si auto-perpetua, creato nel corso di una storia
evolutiva di una complessità quasi inimmaginabile. Ciascuna
specie merita che dei ricercatori vi dedichino la loro carriera e storici e
poeti la celebrino. Nulla di tutto ciò può essere detto per un protone o
un atomo di idrogeno. In poche parole Reverendo, è questo l’argomento morale
più forte e impellente che viene dalla scienza per salvare la Creazione."
Settembre 2010
Nota: un gruppo di
interesse su Facebook segue le
sorti degli ultimi sopravvissuti ibis orientali.