venerdì 15 giugno 2012

SOPRAVVIVERE AL PARADISO



SOPRAVVIVERE AL PARADISO

Le correnti maledette dei mari del sud



L’altro giorno mentre ero ad una riunione con dei colleghi ero distratto dal pensiero che la mia sedia sarebbe potuta benissimo essere vuota. In altre parole assaporavo in pieno il fatto succoso & inoppugnabile di essere ancora vivo… Infatti pochi giorni prima, il 13 Maggio 2012, l’oceano mi ha teso un agguato, mettendomi a dura prova. C’è davvero mancato un soffio che Luna rimanesse orfana…

Amo e rispetto il mare, ne ho un sacro timore reverenziale ma anche una grande attrazione. Conosco i mari temperati per il lavoro da campo e le ricerche di ecologia marina fatte in passato, sia in Italia che in Cile. Ma non conosco abbastanza i mari tropicali e le barriere coralline. Ho quindi compiuto una leggerezza che stava per costarmi molto cara.

Durante il fine settimana sono andato a rilassarmi con Claudia e Luna in una spiaggia dall’altra parte dell’isola di Upolu (arcipelago Samoa, Polinesia). Mi sono messo in acqua a fine mattinata, in fase di marea crescente, con la maschera ed il boccaglio - ma senza le pinne. Mi sono quindi disposto a nuotare ammirando i coralli dentro la laguna fino a che, ad un certo punto, avvicinandomi alla barriera d’un tratto sono stato risucchiato via da una corrente potente che mi ha colto di sorpresa. 

Come travolto da un fiume in piena venivo trascinato ad alta velocità oltre la barriera corallina in oceano aperto, passando attraverso vortici di acque imbizzarrite - in corrispondenza di una apertura, una bocca verso l’esterno, della barriera stessa. La velocità con cui venivo trascinato era impressionante: me ne rendevo conto guardando i coralli sotto di me, che correvano via velocemente verso la direzione da cui ero arrivato (ma ero io che venivo spinto in realtà nella direzione opposta, verso il mare aperto!). 

Nel tentativo di sfuggire alla stretta fatale della corrente ho tentato disperatamente di nuotare obliquamente rispetto alla direzione della corrente, senza nulla potere (per un attimo pensavo quasi di avercela fatta, ma sono stato riagguantato subito dal possente mostro). Avessi avuto le pinne forse ce l’avrei fatta.

Lo sforzo fisico per sfuggire alle grinfie della corrente mi è costato un forte affanno. Quindi mi ritrovavo a galleggiare con grave difficoltà, la maschera appannata, tra acque tumultuose e scure per la profondità. L’affanno era tale che il boccaglio non era quasi più sufficiente per respirare. Nel frattempo, mentre venivo sospinto al largo, la spiaggia era quasi sparita alla mia vista, anche grazie alle onde. Il panico ha cominciato a pervadermi rapidamente. Cominciavo a credermi perso per davvero. Sono seguiti 10-15 minuti infiniti durante i quali ho pensato che fosse finita per me. Stavo viaggiando inesorabilmente, ad alta velocità, in alto mare, nel bel mezzo del Pacifico del Sud.

Essendo sempre stato abbastanza fiducioso delle mie capacità natatorie, quel giorno dovevo imparare sulla mia pelle che, grazie al panico e all’affanno, nuotare e tenersi a galla può diventare penoso, specialmente in acque difficili. Mentre la sensazione di precarietà e la convinzione di non farcela si fa strada dentro, gradualmente, come una desolazione nera e amara. Cominciavo già a rischiare di bere. Allora ho davvero cominciato a pensare che sarei annegato nel breve giro.

Questi i pensieri e sentimenti che mi sono allora sfrecciati dentro. Bene, mettiamoci l’animo in pace, morirò a breve affogato. Guarda un po’, proprio di morte violenta dovevo finire. Proprio oggi, in questa bellissima giornata di sole, in questo mare stupendo. Mentre mi godevo queste spiagge da sogno con la bambina e la Claudia. Sora morte mi ha teso un agguato micidiale, non posso che soccombere. Devo accettarlo (benché sia evidentemente un colpo basso del destino, mannaggia, che ingiustizia!). 

Per fortuna non soffrirò molto, in un baleno cesserò di vivere e poi tutto sarà finito. Non c’è granché da preoccuparsi alla fine dei conti. Per fortuna che esiste la Luna, una sorta di mia prosecuzione. Lei consolerà tutti della mia scomparsa. Subito dopo una lieve e amara malinconia mi ha velato l’anima, come un nuvolone, al pensiero che non avrei visto la piccola crescere e non avrei mai saputo che persona sarebbe diventata, non ci avrei mai potuto parlare...  che peccato! 

Nel frattempo mi allontanavo sempre di più dalla costa, la spiaggia era divenuta sottile ed insignificante, la vedevo appena attraverso la maschera appannata, la sua vista ostacolata com’era dalle onde che mi circondavano e dalla lontananza. In compenso l’isolotto verdissimo che dalla spiaggia appariva lontano, Nu’utele, adesso era diventato enorme – la qual cosa dava conto di come mi ero allontanato. 

Il canale profondo che separa la costa dall’isolotto, mi era stato riferito in passato essere battuto dai pescecani (un tale pare che abbia avuto la testa staccata una decina di anni prima, in quel tratto di mare): ma in quel momento era l’ultima cosa a cui pensavo, tanto il pericolo di annegare sembrava imminente. Solo per un attimo ho vagheggiato che un delfino mi venisse in aiuto, come nei film (si, anche nei pressi della fine, divagavo e mi distraevo).

Tutto sembrava insomma configurarsi e svolgersi come un piano micidiale per eliminarmi. Ma a quel punto qualcosa si è riscosso in me, si è ribellato a questa rassegnazione, risvegliandomi dal torpore mortifero in cui stavo cadendo. Forse davvero è stata l’idea di non poter vedere Luna crescere - la qual prospettiva ad un certo punto mi è sembrata intollerabile. Mi sono allora detto che comunque fosse dovevo almeno vendere cara la pelle. 

Dovevo innanzitutto recuperare un po’ di lucidità, anche se mi sentivo il petto pervaso di terrore. Non dovevo avere paura del mare, ho sempre pensato che bisogna abbandonarsi a lui e alla sua potenza, lasciarsi trasportare, sperando nella sua magnanimità. Tranquilli dentro si galleggia naturalmente, la paura invece appesantisce e porta giù.

Ho perfino gridato aiuto al cielo, anche se non sono un credente. Se una chance di sopravvivere la avevo ancora quella era di calmarmi, di scrollarmi di dosso il panico e di cominciare a risparmiare energie fisiche. Dovevo ricominciare a nuotare correttamente, non in maniera scomposta come avevo cominciato a fare in preda al panico. Da quel momento dovevo solo galleggiare, assecondare ed abbandonarmi alla corrente. E così facendo riposare un po’ i muscoli, il cuore ed i polmoni affaticati. Chissà magari qualcuno mi aveva visto dalla spiaggia: speravo che Claudia mandasse in mio soccorso una barca. O magari, chissà, una volta sfuggito alla morsa della corrente avrei potuto provare a ritornare, nuotando, a riva.

Da quel momento ho cominciato a galleggiare abbandonato nelle braccia subdole e spaventose di questa corrente selvaggia dei mari del sud, che puntava verso una immensità blu cobalto. Il mare in queste isole tropicali sembra cosi dolce ed ammaliante vicino alla spiaggia, un verde smeraldo dentro la laguna - mentre fuori la barriera corallina appare appunto color cobalto o blu notte, ed incute davvero paura e rispetto! 

Ho passato così del tempo assorto guardando il grande cielo e le nuvole oceaniche sopra di me, galleggiando come un relitto, mentre cercavo di cacciare indietro il pensiero che avrei potuto perdermi nella vastità delle acque dove nessuno mi avrebbe mai più ripescato – manco le mie spoglie! In questo modo, gradualmente, ancora nelle braccia della corrente maligna, mi sono miracolosamente calmato.

Pian piano, nonchalant, avando avvertito un calo della forza della corrente, ho ricominciato a nuotare un po’ in stile medusa (uno stile di mia invenzione) e un po’ a rana. Dopo qualche tempo ho finalmente sentito che ero entrato nella scia dei cavalloni oceanici che vanno a scagliarsi sulla barriera corallina - e che quindi puntano verso la laguna e la spiaggia. Non sono le onde dei nostri mari. Sono quelle gigantesche e potenti cavalcate dai temerari surfisti oceanici. Onde da immagini di riviste patinate. La prima che mi ha investito in pieno era appunto potente e grande e mi ha portato per un bel pezzo in avanti. Lungi dall’aver timore di annegare travolto dall’ondata o di venire fracassato contro la barriera, ho cominciato a gioire dentro (forse incoscientemente?) e a sperare di cavarmela.

Mi bastava il pensiero che da quel momento era cessata quella galoppata spaventosa verso il mare aperto. Adesso stavo puntando di nuovo verso la costa, verso la vita, verso la mia piccola. Insomma nuotando con i cavalloni a poppa sono riuscito a passare sopra la barriera corallina con poco danno fisico, e a rientrare finalmente dentro la laguna – da cui poi con le ultime forze ho riguadagnato la spiaggia. Questo incubo sarà durato in tutto un quaranta cinque minuti buoni. Uscendo dall’acqua sentivo che mi faceva male il cuore dallo sforzo (ed ha continuato a dolermi per una buona ora.) Mi sentivo spossato dalla fatica e incredulo di avercela fatta.

La prima cosa che mi è venuto in mente di fare è stato di andare a sbaciucchiare la piccola: mi sono sentito quasi di non meritarla più. Avendo per così dire tradito il suo amore, la sua fiducia. La innocente mi sorrideva ignara di tutto, con i suoi occhioni teneri. Claudia mi ha spiegato di aver ritenuto di non dover dare l’allarme perché seguendomi con il binocolo non si capiva che ero in difficoltà. Lei infatti mi aveva osservato e seguito solo mentre ero nella "fase del relitto galleggiante" che da lontano non trasmetteva allarme ma calma e godimento (mentre nel momento del panico non avevo neanche pensato di sbracciarmi tanto era concentrato sul galleggiamento convulso). 

Benché lontano in maniera insolita, oltre le onde fuori la barriera corallina, le apparivo tranquillo, quasi contemplativo, in mezzo al grande mare. Non voleva insomma disturbarmi e magari rischiare che la redarguissi per un eccesso di premura e apprensione. . 

Mi sono informato con i colleghi australiani e su internet (http://www.abcnews4.com/story/17649201/break-the-grip-of-the-rip). Queste correnti che si formano in corrispondenza dei canali di uscita delle barriere coralline, nei mari tropicali, note come rip currents, sono molto ben conosciute e temute. Sono la causa n. 1 di morte per affogamento nei mari tropicali delle coste degli Stati Uniti e Australia (in quest’ultimo paese, durante il periodo di balneazione, annega in media una persona ogni due-tre giorni a causa delle rip currents). 

Anche i nuotatori provetti possono affogare in condizioni del genere, ho appreso. Giorni dopo ho saputo che presso la stessa località ed a causa della stessa corrente che ha portato via me, erano già affogate almeno due persone durante gli scorsi anni - una turista neozelandese ed un funzionario giapponese delle nazioni unite (il cui corpo non è stato più ritrovato, nonostante ricerche di vari giorni con l’elicottero). 

Sono certamente stato uno sprovveduto. In effetti prima di tuffarmi volevo chiedere consiglio ai locali, ma poi avevo visto altra gente che faceva snorkelling, e avevo pensato che fosse una situazione tranquilla, come lo avevo fatto tante altre volte. Pensavo poi che se delle correnti ci dovessero essere, si sarebbero create solo in fase di marea calante, quando l’acqua viene spinta fuori dalla laguna, attraverso i canali della barriere. Poi avevo anche fatto snorkelling tempo addietro dentro questi canali di uscita dalla laguna senza sperimentare alcuna corrente. Il fatto è, come adesso ho imparato, che queste rip currents si formano al variare delle maree, sia calante che crescente, a seconda delle condizioni locali.

Una bella lezione per me. Ho capito bene, sulla mia pelle, come la gente si ritrovi all’improvviso ad affogare e perdere la vita. Infatti spesso mi sono chiesto come sia possibile affogare, quando si sappia nuotare. Molto semplice: quando si sente il fiato sul collo della morte, ci si impanica alla svelta, ed anche sapendo nuotare bene, si affoga in un attimo. Io mi sono salvato solo grazie al fatto di essermi calmato e di essermi abbandonato alla corrente.  Certamente non mi dimenticherò mai questa giornata.

Eppure alla fine il grande oceano mi è stato benevolo. Ha comandato il gioco crudele dall’inizio alla fine. Ed è stato lui solo a decidere della mia sorte: dopo avermi spaventato a morte, mi ha riaccompagnato verso la salvezza. Ho interpretato così, a posteriori, quello che è successo: la corrente ad un certo punto invece di continuare a puntare verso il largo è diminuita di intensità, e a quel punto si deve essere sfrangiata, spingendomi lateralmente. Dandomi modo finalmente di sfuggirle entrando nel flusso dei cavalloni diretti verso la barriera corallina e la laguna. 

Certamente se la corrente avesse continuato a portarmi ancora piu’ lontano con forza costante, come ho appena letto succede con certi tipi di rip currents, mi sarei perso nei flutti lontani – come e' appunto capitato al collega giapponese qualche anno prima.

Difficilmente allora mi avreste rivisto! 

  
Samoa, Maggio 2012


Only dead fish goes with the flow – Anonymous
(solo il pesce morto segue la corrente)


NB: questo resoconto e’ stato pubblicato sul sito della agenzia governativa americana di oceanografia (National Oceanographic Atmospheric Administration – NOAA) - in quanto a loro giudizio contiene elementi istruttivi per incrementare la consapevolezza sui gravi rischi che le rip currents comportano e su come cercare di cavarsela in caso di pericolo. Ecco il link:








Il tratto di mare teatro dell’accaduto - sullo sfondo le onde che si frangono sulla barriera corallina e dietro l’isoletta di Nu’utele. Robert Louis Stevenson, che scelse Samoa come sua ultima residenza, parla nei suoi racconti di “correnti maligne” e “correnti che portano via gli squali”. Probabilmente le ha sperimentate anche lui o ne sentì parlare durante i suoi viaggi nei mari del sud. Chissà quanti esploratori e colonizzatori europei hanno perso la vita in questo modo subdolo nel corso dei secoli scorsi…


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